Rendere accessibile la diagnosi precoce a tutta la popolazione a rischio di cancro alla prostata, tramite programmi di screening organizzati; ampliare l’offerta della sorveglianza attiva, ove sia possibile attuarla, nei casi di malattia a basso rischio, come primo trattamento; promuovere la diffusione di centri di cura specializzati e multidisciplinari, dotati della necessaria expertise, cruciale per una presa in carico globale del paziente con tumore della prostata. Sono le tre azioni da attivare in base ai risultati di Euproms (Europa Uomo Patient Report Outcome Study), la survey promossa da Europa Uomo, condotta in 32 Paesi, il primo grande studio in assoluto realizzato dagli stessi pazienti per i pazienti, per indagare la qualità della vita dopo i trattamenti di chi è colpito da carcinoma prostatico. Il report, realizzato su quasi 5.500 pazienti con età media 70 anni, evidenzia alcune aree di criticità nel percorso terapeutico in diversi aspetti, soprattutto quelli che riguardano i disturbi della sfera sessuale e psicologica e il dominio urinario. Proprio a partire dalla voce dei pazienti, raccolta dall’indagine europea, dai disagi e dai bisogni legati alla qualità della vita sperimentati dagli uomini con tumore prostatico si ricavano una serie di possibili azioni per ovviare o minimizzare le conseguenze delle cure che devono però essere implementate.

“I risultati di Euproms - afferma Maria Laura De Cristofaro, presidente Europa Uomo Italia - hanno spinto le Istituzioni verso una iniziativa storica: raccomandare a livello europeo programmi di screening , che in qualche Paese si stanno già sperimentando (Praise-U)”. In Italia, l’associazione “intende portare avanti da oggi una serie di azioni atte a costruire un rapporto continuo con le Istituzioni nazionali e regionali” a partire “dall’istituzione della Giornata nazionale del tumore della prostata, perché si continui a parlare di salute maschile”. Come spiega Cosimo Pieri, segretario generale Europa Uomo Italia, rappresentante per l’Italia nel board di Europa Uomo – The European Prostate Cancer Coalition, l’associazione “ha realizzato il sondaggio Euproms per analizzare i dati sulle reali condizioni di qualità della vita dei pazienti con tumore della prostata. Questo per evidenziare alle istituzioni, e in particolare alla Commissione Beating Cancer della Comunità europea, la necessità di implementare la diagnosi precoce del tumore della prostata nei 27 Paesi Ue, come oggi viene fatto per il tumore del seno e del colon. Dopo che nel settembre 2022 il Parlamento europeo, sulla base anche dei dati del nostro sondaggio, ha emanato la Raccomandazione ai 27 Paesi Eu di implementare la diagnosi precoce anche del tumore della prostata - ricorda Pieri - ci proponiamo ora che sia messo in atto, per individuare precocemente tutti quei tumori aggressivi che, se non curati subito, degenerano in metastatici peggiorando drasticamente la qualità di vita del paziente e suoi familiari, oltre a richiedere costi fino a 20 volte superiori rispetto al trattamento dei tumori in stadio iniziale. Nello specifico, dato che in Italia questa raccomandazione è stata solo recepita dal Piano oncologico nazionale 2023-27 ma per ora non implementata, chiediamo che anche in Italia, come già in diversi Paesi europei, sia avviato un progetto pilota per definire le linee guida nazionali dello screening organizzato del tumore della prostata”.

Dopo i trattamenti attivi - emerge dal sondaggio - i disturbi sessuali rappresentano un problema da moderato a grave per un paziente su due. Circa il 60% dei pazienti riporta che la prostatectomia radicale è l’approccio che interferisce peggio sulla continenza e sulla funzione sessuale, specie se è associata a radioterapia che provoca, come riferiscono i pazienti, maggiori disagi anche a livello intestinale e vescicale. Gli uomini sottoposti a chemioterapia o a radioterapia sperimentano malessere, stanchezza e insonnia con una frequenza tre volte superiore rispetto a chi attua una sorveglianza attiva.

L’evidenza più rilevante che emerge dall’indagine Euproms, e “abbastanza attesa - sottolinea Bernardo Maria Rocco, presidente Comitato Scientifico Europa Uomo - è che un approccio di sorveglianza attiva ha meno implicazioni in termini di qualità di vita e di esito funzionale rispetto a un approccio attivo, come la chirurgia, la radioterapia o la chemioterapia. D’altra parte, è opportuno ribadire che non è possibile attuare la sorveglianza attiva in tutti i casi di tumore prostatico . I dati dello studio vanno trattati con cautela, in quanto i pazienti che hanno risposto ai questionari hanno caratteristiche molto diverse. Emergono elementi di criticità che riguardano sia la sfera sessuale, che è molto coinvolta dopo i trattamenti chirurgici e radioterapici, sia i disturbi della sfera urinaria, che sono riportati come un dato estremamente significativo. L’approccio che interferisce maggiormente sulla continenza è la prostatectomia radicale, soprattutto se segue la sorveglianza attiva o se è associata a radioterapia. Per quanto riguarda i disturbi irritativi, è la radioterapia a provocare i maggiori disagi a livello sia vescicale che intestinale. Il messaggio che emerge dallo studio - sintetizza Rocco - è che laddove si può attuare una sorveglianza attiva in sicurezza, secondo linee guida e con uno stretto percorso di controlli, questa ha meno impatto sul dominio della continenza, intestinale e sessuale. Laddove invece si deve ricorrere ad un trattamento, essendo più prono a un impatto sulla qualità della vita, è necessario identificare Centri di cura che abbiamo molta esperienza nell’erogare queste terapie e dotati di team multidisciplinare”.

A proposito della sorveglianza attiva, Domenico Prezioso, professore associato di Urologia, dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive ed Odontostomatologia Università Federico II di Napoli, responsabile della Prostate Cancer Unit, Membro Comitato Scientifico Europa Uomo, osserva che “il cancro della prostata  si presenta, a fronte di una incidenza veramente importante, in buona parte dei casi (dal 30% al 40%) a bassa malignità e anche la sopravvivenza è ottimale in questi pazienti che, rispetto ad altre neoplasie, presentano tassi di mortalità piuttosto bassi. La diagnostica precoce del tumore della prostata - ricorda Prezioso - si avvale di un marker presente nel sangue (Psa) e in alcuni casi della nuova Risonanza Multiparametrica della ghiandola prostatica nei soggetti con sospetto clinico o legato esclusivamente al rialzo del Psa. Oggi sappiamo che gli screening eseguiti in passato sulla popolazione maschile ultracinquantenne, sulla base delle conoscenze allora disponibili, si sono rivelati incapaci di ridurre la mortalità nel gruppo pazienti screenati, quindi non sono più stati consigliati. Da alcuni anni a questi pazienti viene consigliata la sorveglianza attiva, vale a dire il controllo periodico sia clinico che del Psa senza particolari cure mediche, che consente di convivere con la malattia, pronti ad intervenire con terapie specifiche qualora le condizioni cliniche dovessero dare segni di progressione”.