Intervista a Paolo Bandiera, Direttore Affari Generali e Advocacy di Aism 

Garantire il diritto al lavoro a chi ha avuto una diagnosi di sclerosi multipla è l’obiettivo del progetto Prisma, nato per rispondere a chi desidera, nonostante le fragilità, contribuire alla ricchezza sociale, civile ed economica, ed esprimere le sue capacità. Nato per trovare strade nuove che garantiscano alle persone con disabilità gli strumenti per mantenere il posto di lavoro, in un equilibrio efficace con le proprie esigenze di vita e salute, il progetto Prisma è frutto di un impegno quindicinale condiviso dall’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism), Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), Università di Genova – Dipartimento Scienze della Salute Dissal e ospedale Policlinico San Martino, Genova.  

“Un progetto visionario... – spiega Paolo Bandiera, direttore Affari generali e Advocacy di Aism - Abbiamo voluto vedere, insieme a partner qualificati, le mille sfaccettature che, come un prisma, può avere il diritto a un lavoro inclusivo per le persone con sclerosi multipla, e per l’intero mondo delle persone con disabilità, malattie croniche e ingravescenti e differenti condizioni di fragilità”. La sclerosi multipla è infatti una condizione di riferimento su cosa succede nella vita di una persona con disabilità quando vuole lavorare, perché: colpisce i giovani, riguarda le donne più degli uomini, dura tutta la vita e porta continui cambiamenti che vanno capiti e accompagnati, se si vuole che una persona continui a lavorare. Inoltre, è una condizione ad alta complessità: studiarla a fondo può generare risultati esportabili ad altre patologie.  

“Abbiamo studiato la letteratura scientifica sull’argomento - continua Bandiera - abbiamo realizzato delle nuove ricerche per identificare i fattori che incidono sul mantenimento del posto di lavoro, abbiamo ascoltato le persone con sclerosi multipla che lavorano, abbiamo compreso le aspettative della figura del medico competente per la formazione e il ruolo che può agire nel favorire i percorsi di lavoro dei lavoratori con sclerosi multipla, ci siamo lanciati - aggiunge - alla ricerca di buone pratiche e cercato spunti di miglioramento per il futuro. Ognuno dei 5 diversi campi e obiettivi del progetto ha alimentato in modo circolare gli altri”. 

I cinque campi del progetto Prisma comprendono:  

  • Analisi dello stato dell’arte sulla sclerosi multipla e occupazione: rassegna della letteratura; 
  • Identificazione dei fattori che influiscono sul mantenimento del lavoro: focus group e studio cross-sectional 
  • Integrazione tra dati clinici, demografici e di occupazione: analisi di database 
  • Formazione dei medici del lavoro competenti: indagine conoscitiva e formazione dedicata 
  • Individuazione di buone prassi in materia di accomodamento ragionevole: analisi e identificazione dei criteri.  

 
Sul primo punto, come certifica il ‘Barometro 2023 della Sclerosi Multipla e patologie correlate 2023’, il 60% delle persone con la patologia è stato escluso dal lavoro a causa della disabilità, il 34% perché il contesto non si adattava più alle necessità della persona e il 47% perché il peggiorare della malattia non consentiva più di lavorare. E solo una persona su 3 che lavorano si dichiara soddisfatta di quello che fa, si sente realizzata, coinvolta, valorizzata. Un aspetto decisivo riguarda la paura di essere discriminati, la percezione di essere soggetti di “stigma sociale”: in 26 studi relativi a 10 mila partecipanti emerge che il 79,2% delle persone con sclerosi multipla hanno dichiarato di essersi sentite sottoposte a stigma. La paura di essere discriminati e perdere il lavoro è il motivo principale della reticenza delle persone a rivelare la propria diagnosi o a descrivere, in azienda, i sintomi che affrontano, tanto ai colleghi e ai datori di lavoro, quanto agli stessi medici competenti che hanno in carico la sorveglianza sanitaria e la tutela della salute e la prevenzione dei rischi e devono definire l’idoneità alla mansione per ciascun lavoratore. 

“Le buone prassi per l’inclusione – sottolinea Bandiera – non sono un elenco di buone azioni non replicabili se non nel contesto in cui vengono messe in atto. Sono buone prassi quelle che prevedono un ruolo attivo della persona, che agiscono sull’ambiente fisico, sulle tecnologie e gli ausili disponibili ma anche su processi di lavoro. Sono quelle che si integrano con i percorsi di cura e salute e che impattano sull’organizzazione fino a coinvolgere molte persone e non solo alcuni specialisti”. E ancora, “sono sostenibili economicamente, socialmente, eticamente - chiarisce l’esperto - in un tempo lungo e dal punto di vista dell’impatto che generano sull’intera comunità. Sono buone prassi quelle che sanno condizionare le norme, che consolidano conoscenze e competenze, evitando che ci sia una scarsa applicazione degli accomodamenti ragionevoli sul lavoro solo per difformità personali dei singoli medici. Come con i medici di medicina generale, dobbiamo creare meccanismi di raccordo e dare strumenti di sapere fruibile, che il medico possa immediatamente usare quanto entra in contatto con una persona con questa diagnosi che chiede idoneità alla mansione”. Buone prassi, infine, “sono quelle che costruiscono modelli - conclude Bandiera - e li vanno a testare, come stiamo facendo con Prisma e coi percorsi formativi predisposti con e per i medici competenti e con le Linee Guida all’Idoneità alla mansione, con i protocolli condivisi con le Regioni e, di recente, con la ‘Mozione dei 30 cantieri’ presentata a Camera e Senato il 31 maggio (2023, ndr), nel quale chiediamo alle istituzioni di lavorare con noi nel diffondere la cultura e le competenze organizzative dell’accomodamento ragionevole, in tutti i contesti, non solo lavorativi”. 

Una parte decisamente interessante del percorso di ricerca del progetto Prisma è collegata all’ascolto delle persone con sclerosi multipla, che ha individuato diversi aspetti che colpiscono e indicano percorsi per il futuro. In questo contesto è determinante la relazione che si instaura con colleghi e responsabili; allo smart working, i pazienti preferiscono lavorare in presenza. Altro aspetto importante è il non riconoscere la figura del ‘medico competente’, in cui i pazienti non hanno fiducia. Sulla conoscenza degli accomodamenti ragionevoli e del ruolo del medico competente urge probabilmente un cambio di passo proprio da parte delle persone con sclerosi multipla, ma anche un percorso formativo per i professionisti della salute

Infine, interrogate sugli aspetti che a loro avviso impattano di più nella possibilità di mantenere il posto di lavoro, le persone con sclerosi multipla hanno indicato la necessità di avere un aiuto nella gestione familiare e nella gestione della fatica, il supporto dei colleghi nel capire difficoltà e coraggio della persona con sclerosi multipla che sceglie di lavorare, e una crescita dell’accessibilità, soprattutto nei mezzi di trasporto, perché spesso il vero ostacolo è… arrivare al lavoro, prima ancora di quello che si dovrà fare.